Quando ci si appresta a scrivere un libro, solitamente, ci si pone un gran numero di domande tra le quali: ” È corretto o etico scrivere una storia vera? ” “Quale è il giusto equilibrio tra realtà e finzione?”

Su questi interrogativi, ho riflettuto molto anch’io prima di scrivere “La cantina di Alice”, cioè la storia di mia nonna Alice.

Ecco le mie riflessioni:

Nonna Alice, quando si accorse che quel maledetto ictus aveva vinto su di lei, ebbe una dannata paura che i suoi ricordi, la sua stessa vita finissero nell’oblio più assoluto e volle donarmi i suoi racconti, mentre giaceva in un letto di ospedale.

Già immagino cosa avrà pensato la nonna in quel momento di presa coscienza: “Ictus non sei poi così forte, anzi sei proprio un grande codardo ad approfittarti di una povera vecchietta…ti porterai via me, il mio corpo stanco, ma non la mia vita”.

In cuor mio sapevo che dovevo esaudire il desiderio di quella stravagante anziana signora che amavo tanto e dovevo prendermi cura dei suoi ricordi per salvarli dall’oblio, ma, nello stesso tempo, mi chiesi se era corretto scrivere un libro proprio su di lei.

Ci riflettei un’infinità di tempo, aiutata dai lunghi giorni che la pandemia ci metteva purtroppo a disposizione.

Nonna era sì ribelle, ma anche molto discreta, la decisione non era facile, ma alla fine capii che lo dovevo fare, forse me lo suggerì proprio nonna Alice in un sogno (mi sa che ho un po’ ereditato dalla nonna i poteri sui sogni, anche se non ci credo, ma questa è un’altra storia): io non ho né figli né parenti, tranne mia madre e quindi la vita della nonna si sarebbe persa, smarrita, cosa che lei non voleva assolutamente e poi forse la sua vita, piena di tragedie, ma anche di tanto amore, era un messaggio di speranza per altre persone, un po’ come lo era stato per me.

Ma non era finita la riflessione…e mi feci altre due domande: “Nonna Alice mi stava raccontando la sua vita reale o sotto l’effetto dell’età e dei farmaci che le somministravano, stava straparlando oppure era diventata, improvvisamente, fantasiosamente vanitosa e cercava di attirare la mia attenzione per accompagnarla attraverso l’epilogo tragico della sua vita?” “E nel caso i suoi ricordi diventassero più nebulosi, era lecito riempire i gap con un po’ di finzione, immaginando di essere lei?”

 

Chiesi quindi a mia madre se i racconti della nonna fossero veri e lei, senza nessun tentennamento, me lo confermò; inoltre non era necessario aggiungere finzione perché la memoria della nonna era forte, oserei direi fin troppo, senza nessuna assenza o titubanza nei suoi racconti.

Il mio compito, quindi, era più semplice del previsto in quanto non era necessario nessun volo pindarico di fantasia e, a seguire, ve lo dimostrerò.

Le scale di pietra scura che Anita percorre con i suoi tacchi a spillo e che Alice con Renato, bambini, hanno sceso a rotta di collo per andare in gita al Sacro Monte con i genitori, sono realtà e io le faccio quasi ogni giorno con tanta emozione

Veniamo poi alla miriade di servizi retrò di bicchieri e tazzine che nonna Alice mi ha lasciato: tutti belli, ma ce n’è uno a cui sono particolarmente affezionata…il servizio color glicine che le venne regalato per il suo matrimonio.

Esso è composto da moltissimi bicchieri delle più svariate dimensioni con una brocca per l’acqua, per il vino o meglio per il brandy che nonna amava tanto: pensate che non ho ancora avuto il coraggio di usarlo in quanto ho una dannata paura di romperlo, ma prima o poi lo farò perché devo a nonna un brindisi, glielo avevo promesso, quando sarebbe tornata a casa dall’ospedale.

E poi c’è anche una foto di nonna Alice da bambina, avrà avuto circa sei o sette anni, con un grande fiocco chiaro in testa e con uno sguardo altero, che mi ricorda il suo primo giorno di scuola, quando era spaventata, ma non voleva farlo vedere a nessuno.

In una vecchia scatola di latta che aveva contenuto dei biscotti, ho trovato anche la foto che immortalava la nonna al concorso di bellezza e devo dire che il suo sguardo non era troppo felice, come del resto, ridendo, mi aveva raccontato.

 

 

 

Qualche giorno fa, ho voluto nuovamente scendere nelle cantine dove le persone, spaventate, si riunivano quando sentivano l’odioso suono della sirena che annunciava prossimi bombardamenti: mi si è stretto il cuore, come si suole dire, immaginando le persone, soprattutto donne, anziani e bambini, che lì cercavano un riparo per salvarsi e ho percepito la loro paura, la sentivo nell’aria, pesante.

Ho dovuto risalire rapidamente le scale in quanto facevo fatica a respirare.

Nel mio salotto, poi, su una vecchia scrivania in legno lucido, c’è una coppia di cavalli che sembrano correre in libertà, fatti in ottone, essi fungono da fermacarte: ebbene il manufatto era stato fatto dal mio bisnonno Innocente, era un bravissimo artigiano, adesso si direbbe artista!

A volte accarezzo quel cervo e mi commuove pensare che le mie dita si stanno appoggiando dove si sono soffermate anche quelle di Innocente.

Potrei anche parlarvi della foto di Renato, vestito da marinaio, con in braccio mia mamma bambina, foto scattata poco prima di partire per la guerra; potrei parlarvi della fisarmonica che suonava mio nonno Alberto, credo che con quella abbia fatto anche una serenata alla nonna, come si usava a quei tempi e ora non più purtroppo…, ma non voglio tediarvi.

Una cosa è certa: Alice è vera, come Margherita della famosa canzone.