“C’è qualcosa di delizioso sulla scrittura di quelle prime parole di una storia. Non si può mai dire con precisione dove ti porterà. La mia mi ha portato qui, dove appartengo”. (dal film “Miss Potter”)

 Il 3 di maggio dello scorso anno ho presentato il mio libro “La cantina di Alice” al Circolo Culturale Slow Mill nel quartiere in cui vivo e la mia relatrice Anna Lattanzi, critica letteraria e giornalista, mi ha posto alcune domande interessanti, tra le quali la ragione per la quale avevo scritto il mio libro o in generale il perché dello scrivere.

Ripensandoci a mente fredda, credo che risponderei la stessa cosa: perché provo piacere a scrivere, perché quando scrivo sono felice.

Lo stesso filosofo greco Epicuro diceva che la felicità è il fine ultimo dell’uomo; felicità e piacere sono la stessa cosa in quanto il piacere coincide con l’assenza di dolore e di turbamento nell’anima.

Cosa volere di più?

Non è essere felici?

Quando scrivo io mi sento bene, anzi posso coraggiosamente dire che io sto bene

Ricordo di avere anche detto che scrivere è una terapia: del resto gli psicologi consigliano spesso ai loro pazienti di tenere un diario perché credo che scrivere sia la cosiddetta valvola di sfogo per liberarsi dai pensieri negativi e opprimenti e serva anche per comprendere meglio, mettendo nero su bianco, le situazioni, le persone e sé stessi.

Scrivere ti dà il tempo, nella nostra vita frenetica, di riflettere e di arrivare a considerazioni profonde che, in genere, erano già lì nel tuo inconscio, ma che non consideravi perché non avevi tempo per ascoltarti.

Certamente non credo che scrivere ti guarisca da certi dolori o da certi disagi psicologici, ma, secondo me, ti aiuta almeno a conviverci e questo ritengo sia già un grande successo.

A volte, lo scrivere può essere anche un grido di dolore o di aiuto dello scrittore stesso.

 

Tutti quanti, infatti, avrete sentito parlare di Virginia Woolf, una delle autrici più importanti del XX secolo, un mito della letteratura e una grande attivista per la parità fra i sessi.

La sua vita non fu per niente facile, la morte della madre, gli abusi sessuali dai fratellastri, il non poter studiare all’università come i suoi fratelli maschi, che la portarono a soffrire  di instabilità emotiva e tentare diverse volte di suicidarsi sino a quando purtroppo vi riuscì.

Molti suoi personaggi soffrono infatti di ansietà e di delirio e, come ne “La signora Dalloway”, uno dei suoi romanzi più significativi, arrivano addirittura a porre fine alla propria vita.

Ditemi se questo non può essere considerato un grido di aiuto della stessa scrittrice britannica che soffriva di questi disagi psicologici.

Del resto lo stesso scrittore di thriller Jo Nesbo, in un’intervista, ha affermato che nei suoi personaggi c’è un mix di chi non vorrebbe essere, di chi vorrebbe essere, ma anche di sé stesso.

Sempre il 3 di maggio dissi anche che un libro è uno strumento attraverso il quale uno scrittore lancia un messaggio che gli è caro; inutile dire che, il messaggio che io volevo trasmettere a chi ha letto il libro, era un messaggio d’amore, era il messaggio di nonna Alice: “Credi sempre nell’amore nonostante tutto perché lui ti aiuterà a superare i momenti tragici che la vita purtroppo ti riserverà”.

Di questo parere è anche la mia amica e scrittrice Emina Gegic che, nel suo libro “Nero sensibile”, narra la guerra a Sarajevo dal punto di vista di alcuni adolescenti che, attraverso il teatro, riescono, nonostante la guerra, a vivere la loro adolescenza.

Leila, la protagonista del romanzo, non è tanto preoccupata per le bombe che cadono incessanti su Sarajevo, ma del fatto di non poter accedere alla cultura per colpa della guerra.

Emina oltre a raccontare, denunciare la guerra di Bosnia, lancia il messaggio dell’importanza della cultura.

Come vedete, è emerso però un’altra ragione per scrivere: raccontare.

Io stessa ho raccontato la vita di mia nonna Alice e credo che raccontandola, forse, sono riuscita a farla rivivere una seconda volta come lei desiderava per non finire nell’oblio, di cui tutti penso abbiamo un po’ paura.

Come disse alla presentazione Anna, scrivere “La cantina di Alice” è stato un atto di amore nei confronti di un’indimenticabile nonna.

Ma torniamo al raccontare…

Questo è anche quello che fa, con grande maestria, Annemarie Schwarzenbach nell’opera “Tutte le strade sono aperte – Viaggio in Afghanistan, 1939-1940”: racconta il suo viaggio, a bordo di una Ford, con un’amica, proprio in Afghanistan, facendoci conoscere un paese tanto diverso dal nostro e interrogandosi sulla condizione delle donne afgane.

Credo che scrivere sia soprattutto emozionarsi e far emozionare e il poeta e scrittore statunitense Charles Bukowski lo ha fatto egregiamente con questa frase di grande effetto:

“Per me scrivere è volare, è accendere un fuoco. Per me scrivere è tirare fuori la morte dal taschino, scagliarla contro il muro e riprenderla al volo”.

Non posso poi che essere d’accordo con la frase titolo di questo articolo e tratta dal film “Miss Potter”, ispirato alla scrittrice Beatrix Potter, anche illustratrice e naturalista: scrivere è un viaggio che non si sa dove ti porterà, ma forse proprio nel posto giusto, quello che ti appartiene.

Oserei dire che è un viaggio psicologico da affrontare con coraggio visto che non si conosce, a priori, la fine e che ti permetterà di conoscere meglio te stessa: quando finisci di scrivere un libro probabilmente sarai cambiata, non sarai più quella di prima.

Va bene, va bene direte, ma passiamo alla parte pratica e lasciamo la retorica.

Nessuno lo fa per la fama e per i soldi?

Probabilmente sì.

Lo stesso premio Nobel per la letteratura Gabriel Garcia Marquez affermava:

 

“Purtroppo molti giovani scrittori sono più interessati alla fama che al proprio lavoro…È molto più importante scrivere che essere scritti”.

Può darsi quindi che qualcuno lo faccia per questo e che, fortunatamente, lo scrivere divenga per lui un lavoro che gli permetta di vivere, ma sappiate che il diventare famosi e guadagnare scrivendo, non è così semplice!

Credo che diventare un astronauta sarebbe più realistico rispetto a diventare famosi e ricchi con il mestiere di scrittore…

Sicuramente qualche caso c’è come ad esempio Joanne Rowling, la scrittrice della saga di Harry Potter, ma credetemi sono rari, considerando quanti libri vengono pubblicati ogni giorno nel mondo.

Del resto Virginia Woolf diceva ai suoi tempi:

“Una donna deve avere soldi e una stanza sua propria se vuole scrivere romanzi”.

Oggi vale anche per un uomo.

Del resto quanto siamo disposti ad investire in cultura?

Non posso che concludere con una citazione di Ernest Hemingway, un autore che amo molto e che spiega esattamente, a mio parere, in cosa consiste un libro e perché, credetemi, valga la pena leggere.

“Le parti buone di un libro possono essere solo qualcosa che uno scrittore ha la fortuna di ascoltare o può essere il naufragio di tutta la sua dannata vita – e una è buona come l’altra”.

Buona lettura.