Sto scrivendo un altro libro, a dire la verità ne avevo in mente altri due, ma poi ho optato per l’ultimo arrivato, per un’altra cantina: del resto sono o non sono la scrittrice delle cantine? E poi mi piacciono le storie vere.
Ma che cosa è la cantina per me?
Semplice…è il nostro cuore, la nostra mente, un luogo in cui trovi i tuoi ricordi, i tuoi rimpianti, in cui sei veramente te stesso con tutte le tue debolezze e fragilità.
Ognuno di noi ha la propria cantina.
Ma veniamo al titolo di questo articolo…l’invisibilità è un super potere, per dirlo in altra maniera… è consigliabile essere il cosiddetto “libro aperto”?
Secondo l’artista misterioso Banksy assolutamente no e per Stefania?
Andiamo per ordine.
Nel mio nuovo libro vorrei parlare della mia cantina, la cantina di Stefania.
Sono certa che lo scriverò e lo terminerò, in quanto, come a nonna Alice, non ci piace lasciare a metà le cose, ma poi so già che dovrò prendere una importante decisione: pubblicarlo oppure no? Svelarmi oppure no? Un po’ come “Essere o non essere” per l’Amleto di Shakespeare. Bel dilemma!
Secondo voi, essere il cosiddetto libro aperto, raccontando intimamente di sé, ci rende vulnerabili o addirittura antipatici?
Il grande Marlon Brando diceva: “Niente è più rivoltante del guardare un attore che parla della sua vita privata alla televisione”.
Vale anche per uno scrittore che svela sé stesso? Vale anche per noi, comuni mortali?
E poi…se parlo di me stessa, non posso non coinvolgere anche le persone che mi sono state e mi sono vicine nella vita. Saranno contente o mi incolperanno di violare la loro privacy?
Certamente una soluzione sarebbe cambiare i nomi dei coprotagonisti, del resto, spesso, nei libri e nei film si leggono frasi del tipo “Ogni riferimento a persone esistenti o fatti realmente accaduti è da ritenersi puramente casuale” oppure potrei chiedere ai miei coprotagonisti una sorta di “permesso”.
Credo che cercherò un compromesso tra le due soluzioni.
Ma torniamo alla prima domanda sull’essere un libro aperto: io non temo di parlare di me stessa sia perché discorrere non è peccato farlo, sia perché potrebbe essere piacevole e si potrebbero capire e scoprire tante cose, sia in quanto forse riusciamo a liberare quell’uccellino chiuso in gabbia che, impazzito e spaventato, sbatte le ali contro le grate della gabbia stessa, rischiando di farsi veramente male (metafora presa in prestito da Caterina, amica e psicologa).
Inoltre chi mi farà l’onore di leggere il mio libro saranno amici che un po’ mi conoscono e diverranno così ancora più intimi, leggendo pensieri che sicuramente avevano intuito, sia lettori che non mi conoscono per i quali tu potresti essere Stefania o Anita o addirittura loro stessi.
Diversa sarà la situazione quando, forse, molto generosamente i lettori che non ti conoscono decideranno di leggere un tuo secondo libro perché ora sanno un po’ di cose su di te.
Mi piacerebbe conoscere cosa ne pensate sull’essere un libro aperto agli occhi degli altri.
Parlate agli altri di voi stessi, delle cose più intime, delle vostre fragilità, delle vostre emozioni?
Ve lo chiedo perché scrivere un libro è un po’ come vivere.